mercoledì 13 ottobre 2010

ANALISI CONOSCITIVA DEI BISOGNI DEGLI ANZIANI

REPORT

L’incremento dell’incidenza della popolazione anziana in Italia è fenomeno ormai assodato. Il rapporto tra ultra 64enni e giovani ha assunto proporzioni notevoli e supera, al 1° gennaio 2009, quota 143; in altre parole nel nostro Paese gli anziani sono circa il 43 per cento in più dei giovani. Questo valore, non lontano da quello dell’anno precedente, colloca l’Italia al secondo posto nella classifica dei paesi europei. In Europa solo la Germania presenta un indice di vecchiaia più accentuato.
"La regione più anziana è la Liguria, la più giovane la Campania. Il rapporto tra popolazione giovane e anziana e popolazione in età attiva supera nel 2008 il 51%, uno dei livelli più elevati dell'Unione", dice l'Istat.
L'invecchiamento degli italiani trova giustificazione nell'alto tasso di longevità -- ai primi posti in Europa -- ma anche nel basso tasso di natalità. Se da un lato l’invecchiamento della popolazione testimonia il miglioramento delle condizioni di vita della nostra società, dall’altro pone precise urgenze nella gestione del sistema sociale di un Paese.

Il fenomeno anziani deve essere letto in termini positivi. Il mondo moderno non ha “inventato” la vecchiaia, ma ha fatto sì che questa diventasse una condizione di vita generalizzata: per la prima volta nella storia un grande numero di persone raggiunge l’età anziana. In altre parole la società moderna ha la possibilità di “utilizzare” le persone per più tempo così come queste possono arrecare alla società un apporto per un tempo più lungo.

Si può ancora osservare che tale aumento della longevità non ha cause precisamente identificabili, ma può essere addebitabile a molti fattori (alimentazione, igiene, cultura, attività fisica, ecc…).

Quando si parla del “problema anziani” si parla quindi di una impreparazione della società a gestire tale fenomeno, in quanto si è svolto troppo velocemente - nel corso di un secolo - per riuscire ad adeguare coerentemente le strutture sociali.

Nell’immaginario collettivo diventare anziano significa il più delle volte, andare incontro ad una fase della vita connotata da eventi negativi. Si parla di terza età prendendo in considerazione la fascia dai 60 ai 75 anni, mentre coloro che superano questa fascia sono ormai considerati persone della quarta età.

In una prospettiva sociale è necessario chiedersi: l’anziano che cosa vuole essere, che cosa vuole fare, chi è? È la persona che legge il giornale la mattina e passa il pomeriggio dal medico per una prescrizione di farmaci - attento a tutti i suoi problemi fisici che pensa il medico risolva - o è una persona che vuole essere ancora attiva nella società? Questo è il grande problema che anche l’anziano deve risolvere. Ma anche la società deve riconoscere il ruolo della persona anziana, a prescindere dagli stereotipi attuali.

L’anziano viene percepito come una persona lenta, inutile e dall’intelligenza appannata. Nel passato si nutriva grande rispetto per loro. E ora? Se ci soffermiamo ad analizzare la situazione al giorno d’oggi, constatiamo che presso alcuni popoli la vecchiaia è ancora valorizzata e rispettata. In particolare, nelle antiche civiltà, del tutto diverse da quelle occidentali odierne, gli anziani erano considerati fonti di straordinaria saggezza. A loro e alla loro esperienza veniva affidato il compito di guidare i giovani attraverso i pericoli del mondo. Erano apprezzati, valorizzati, rispettati. Erano una parte attiva e importante della società in quanto dopo aver dedicato una vita alla famiglia al lavoro, costellato quest’ ultimo da tante fatiche, strapazzi e sacrifici, pur continuando a vivere nel nucleo famigliare, si tirava un po' in disparte, sostituendo la propria attività produttiva con la trasmissione di esperienza, dimostrandosi ancora utile, come punto di riferimento. Come padre insegnava e suggeriva ai figli, programmi di lavoro e accorgimenti per una miglior conduzione delle rispettive attività e compiti. Come Nonno invece si teneva vicino i nipoti grandicelli parlando loro della natura, degli animali, insegnava a leggere l'orologio. Mentre la Nonna si dedicava alla casa, conservando il "bastone del comando", cioè le chiavi, e spesso accudiva ai nipotini più piccoli se la loro mamma era impegnata altrove. L'Anziano era ascoltato, consultato, rispettato, e, al bisogno, assistito fino allo stadio terminale, cioè moriva in casa. In sostanza i ritmi, il tenore di vita, le esigenze degli uomini di ieri, coincideva col la scansione del tempo, che era abbastanza lenta; non c'era fretta, né affanni, né stress, né frustrazioni.

... Nella nostra civiltà occidentale,invece, tutto ciò viene meno a causa di una mentalità che pone al primo posto l’utilità immediata e la produttività dell’uomo. Per questo motivo la cosiddetta terza età è spesso svalutata e gli anziani stessi sono indotti a domandarsi se la loro esistenza sia ancora utile a qualcosa. E se ieri gli ideali erano: coscienza, altruismo, solidarietà, comprensione, tali ideali sono stati sostituiti dai miti di oggi: giovanilismo, produttivismo, consumismo, denaro, potere, confort.

Purtroppo l'anziano oggi è messo in una situazione scomoda, e di non facile soluzione.

Questo è il grande problema che anche l’anziano deve risolvere. Ma anche la società deve riconoscere il ruolo della persona anziana, a prescindere dagli stereotipi attuali.

Si accenna a quelli più comuni: il primo, che considera la vecchiaia uguale a malattia, non è vero. Certamente con il passare dell’età ci può essere la predisposizione a qualche patologia, ma non è vero che vecchiaia coincida con la malattia, anzi sembra in effetti che oggi si arrivi alla vecchiaia in condizioni migliori rispetto al passato. Anche il secondo, che considera gli anni della vecchiaia come anni “di pace”, non è vero: le persone devono costantemente adattarsi al proprio ambiente di vita, ai cambiamenti del proprio corpo, ecc, come, nelle dovute proporzioni, nelle altre fasi della vita. Se si considerassero coerentemente le istituzioni assistenziali, si noterebbero le dinamiche psicologiche e spirituali degli ospiti e i conseguenti bisogni assistenziali anche in questo ambito; l’istituzione assistenziale non è quell’ambiente di pace, come qualche volta si vuol leggere.

Il terzo pregiudizio, secondo il quale dopo i 65 anni le persone invecchiano in modo drammatico, non è ancora vero: gli stessi segni che si accreditano alla anzianità - gli occhiali, i capelli bianchi, la barba bianca, modestissime limitazioni funzionali – possono arrivare prima dei 65 anni, e anche molti anni prima. I segni che noi accreditiamo alla vecchiaia, non sono veramente la vecchiaia. Il quarto, secondo cui gli anziani sono rigidi, fissi, incapaci di cambiare, non è neppure vero. Certamente, come in tutte le altre fasi della vita, dobbiamo utilizzare una didattica diversa.

STEREOTIPO

DESCRIZIONE

1. Vecchiaia uguale malattia

L’invecchiamento in se stesso non è causa di malattia, ma la probabilità di avere malattie croniche è maggiore negli anziani.Tuttavia, anche soffrendo di alcuni disturbi cronici, gli anziani possono adattare il loro stile di vita e il loro ambiente.

2. Gli anni della vecchiaia sono anni tranquilli, è l’età d’oro della vita

Non è vero, né desiderato dagli anziani, la vita è una sfida all’adattamento e ciò vale anche per la vecchiaia.

3. Dopo i 65 anni le persone invecchiano in modo drammatico

I cambiamenti del corpo, associati all’età, sono continui. Alcuni cambiamenti si verificano già verso la quarantina, come l’ingrigire dei capelli e il diminuire dell’acutezza visiva. Alcune funzioni del corpo variano nell’età anziana secondo l’ereditarietà, la dieta, l’occupazione, i fattori ambientali, lo stile di vita

4. Gli anziani sono rigidi, fissi, incapaci di cambiare

Agli anziani occorre maggior tempo per assimilare nuove conoscenze, per rispondere e per prendere decisioni, ma questa non è rigidità. Inoltre, la capacità dell’anziano, varia in base a molteplici fattori (stile culturale di apprendimento, educazione all’apprendimento, linguaggio, ambiente, farmaci, deficit sensoriali, capacità cognitiva, ecc…)

Veniamo ora a considerare più direttamente la persona anziana.

Si deve affermare prioritariamente che quando si parla di anziani non si parla di un gruppo omogeneo. In questo ambito infatti si possono distinguere almeno tre fasce di età: 65, 75 e 85 e i bisogni sociali, psicologici, spirituali sono chiaramente diversi, come anche i bisogni assistenziali.

Ancora, l’invecchiamento non inizia a 65 anni: i 65 anni sono l’età che il cancelliere Bismark fissò, nel diciannovesimo secolo, quale limite per porre in pensione i funzionari imperiali. Il processo di invecchiamento della persona inizia già alla nascita, per cui si dovrebbe leggerlo meno drammaticamente. Il processo di invecchiamento è tale che quando un bambino nasce è già anziano biologicamente di nove mesi; poi questo processo di invecchiamento segnerà tutto l’arco della vita. Quindi è nell’arco della vita che si deve leggere l’invecchiamento, arco della vita nel quale si assiste a una serie di acquisizioni e perdite costanti.

Esiste un momento nel quale ci si accorge personalmente di invecchiare?

Fondamentalmente, ci si accorge di invecchiare quando non si possono più fare due cose insieme, quando per fare una cosa ci vuole più tempo e quando il risultato non è più quello di una volta. Questi sono i segni che il nostro corpo ci manda per avvisarci che l’invecchiamento sta entrando in una fase più prossima.

D’altra parte la persona non ha solo un età cronologica, la differenza cioè degli anni tra la data di nascita e la data in cui si vive; ha anche un età biologica. Ad esempio, se una persona ha fatto lavori molto faticosi è possibile che l’età biologica superi l’età cronologica, cioè le fatiche del lavoro si sono ripercosse fisicamente in modo tale che l’età cronologica non corrisponde con l’età biologica. Si ha poi, un’età soggettiva, cioè l’età che ciascuno si assegna: è un età molto difficile da darsi, perché non ci si rende conto del passare del tempo, si pensa di essere sempre le stesse persone. Ha poi un età funzionale, quella cioè necessaria per svolgere un’attività. Ad esempio, per un atleta l’età funzionale è già molto elevata oltre i 30 anni, per un impiegato può arrivare anche a 65 anni. Ultima è l’età sociale, cioè l’età che danno gli “altri”. Il segreto dell’eterna giovinezza è allora quello di frequentare gruppi di persone di età più anziana: si verrà sempre riconosciuti come persone “giovani”.

La vecchiaia è così un tempo di trasformazioni fisiche, psicologiche e sociali: la persona tende ad accentrare l’attenzione su se stessa, man mano che cresce l’età. Per vivere bene la vecchiaia bisogna dare un senso all’età che si vive, come in tutte la età. Una preoccupazione, questa, che dovrebbe cominciare verso i 55 anni. Questo perché, ad esempio, lo stesso pensionamento può essere fonte di stress. Molti suicidi nella popolazione anziana avvengono nell’ambito assistenziale istituzionale, ma anche nella società in generale, proprio come conseguenza di uno stress derivante dall’abbandono del lavoro. La persona anziana deve scoprire nuovi valori di vita, nuovi ambienti di vita, deve anche imparare a confrontarsi con nuovi limiti, deve imparare ad accettare alcune limitazioni. E deve imparare ad affrontare la solitudine, questo specialmente la donna, una donna che ha una buona probabilità di rimanere vedova. Invecchia bene solo chi accetta di diventare vecchio. Generalmente si sopporta di diventare vecchi, ma il concetto è diverso: si deve accettare di diventare vecchi.

OBIETTIVI DELL’ANZIANITA’:

· Scoprire nuovi valori di vita;

· Trovare nuove modalità di esplicazioni delle proprie esigenze;

· Adattarsi a nuove modalità di vita e a nuovi ambienti di vita;

· Imparare a confrontarsi con nuovi limiti;

· Imparare ad affrontare la solitudine.

Oltretutto la vecchiaia non è un diritto. Allora il “buon vecchio” è quello che vive la sua vita senza fratture, ha un passato, vive il presente, ha un atteggiamento di speranza verso il futuro. Un “buon vecchio” che non deve essere però idealizzato: è una persona che può avere anche i suoi difetti.

Ancora, quando si legge la singola persona anziana, si deve dire che l’invecchiamento è un processo personale, poiché l’età anziana è la sommatoria della storia relazionale, sanitaria, professionale e culturale.

Allora cosa significa affrontare il problema anziani? Significa, primo, vedere come la persona anziana considera se stessa, poi cosa richiede la società alla persona stessa. Sono due problemi strettamente collegati. Il presupposto fondamentale è quello di riconoscere le persone anziane come interpreti sociali e conseguentemente modificare coerentemente la società.

Una volta riconosciuto che una elevata componente della popolazione è in età anziana, si dovrebbe modificare in tal senso gli elementi della vita sociale. Ad esempio, compilare un bollettino di conto corrente postale è una cosa che può dimostrarsi difficile perché occorre scrivere lettere dentro caselle molto piccole. Non è l’unico esempio che si può fare: è semplicemente la dimostrazione che

si considera la società prevalentemente giovanile. Anche la televisione non ha ancora ben chiara un’immagine coerente della persona anziana: c’è anche un giovanilismo che pervade la rappresentazione dell’anzianità. Occorre quindi riprogettare le strutture sociali, anche assistenziali, per offrire soluzioni più dignitose del valore della persona.

In sintesi, quando si parla di una società futura occorre considerare che si avranno sempre più due categorie di anziani: l’anziano sostanzialmente giovane, acculturato, indipendente economicamente, che reclama una permanenza sulla scena sociale, l’anziano solo con scarse risorse economiche ed elevate necessità assistenziali.

Allora cosa dovrebbe fare la società? rivalutare l’immagine sociale della vecchiaia e predisporre interventi a sostegno della vecchiaia.

Essi sono custodi della memoria collettiva, sono le nostre testimonianze e perciò interpreti di ideali e di valori comuni che reggono e guidano la convivenza sociale. Escluderli è come rifiutare il passato in cui affondano le radici del presente in nome di una modernità senza memoria. Gli anziani, grazie alla loro matura esperienza, sono in grado di proporre ai giovani consigli preziosi. Occorre quindi convincersi che è proprio di una civiltà pienamente umana rispettare e amare gli anziani e fare in modo tale che si sentano parte viva della società moderna, perché è anche grazie a loro che oggi siamo qui a parlare… Non lasciamo che la vecchiaia diventi un'agonia, un tormento che ti accompagna fino alla morte. Apriamo gli occhi, gli anziani non sono qualcosa da sfruttare e poi scartare quando non ci servono più, tocca a noi valorizzare quelle persone che hanno dato i momenti migliori della loro vita per noi. Non escludiamoli dal mondo, approfittiamo della loro infinita saggezza e bontà finché possiamo, non dobbiamo permettere che i loro ultimi attimi su questo mondo siano macchiati di solitudine e sofferenza... chiamiamoli più spesso, andiamo a far loro visita, portiamoli "a spasso", ascoltiamo i consigli che ci danno... Dopo sarà troppo tardi.

Il nostro progetto di servizio civile nasce, appunto, da questo assunto: superare lo schema tipo dell’anziano ormai passivo e bisognoso solo di servizi socio-sanitari. Lo scopo principale del progetto è di mettere in atto una moderna sperimentazione di promozione della salute. Come autorevolmente sancito dall’OMS, la salute non è la semplice assenza di malattia ma è una condizione di benessere psico, fisico e relazionale della persona all’interno del contesto in cui vive. Il concetto comprende il miglioramento degli stili di vita così come quello dell’ambiente,ma sottolinea la necessità di un forte investimento nell’area delle relazioni intese come vere e proprie determinanti di salute.

Per riuscire a realizzare l’obiettivo del progetto, abbiamo intervistato alcuni esponenti di spicco della comunità di Squillace, allo scopo di individuare insieme i bisogni degli anziani. I testimoni privilegiati intervistati sono stati:

Pasquale Muccari

Dottore

Antonio Conca

Professore

Franco Maida

Dottore

Padre Piero

Parroco di Squillace Lido

Don Peppino

Parroco di Squillace

Paolo Mercurio

Postino di Squillace Lido

Ciccio Megna

Centralinista ospedale

Peppe Mercurio

Direttore poste

Sentiti i loro pareri, riteniamo sia opportuno e doveroso perseguire alcune strategie fra le quali assumono rilevanza: il coinvolgimento nelle attività che l'anziano svolgeva in passato; il ritorno alle tradizioni ed un maggiore coinvolgimento delle famiglie nella vita dell'anziano. Per approfondire l’indagine, inoltre, abbiamo pensato di sottoporre la popolazione ultra 65enne di Squillace Centro, Squillace Lido e Fiasco Baldaia ad un questionario che ci aiutasse ad avere un primo contatto con la gente, ma soprattutto a comprendere i bisogni che manifestano quotidianamente.

ATTIVITA' SVOLTA DAL 08/01/2010 AL 01/03/2010

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